Anna Maria di Paolo:
“L’ordine dinamico in Giosuè Marongiu”

Se si volesse, sinteticamente, connotare la ricerca che negli ultimi vent’anni
Giosuè Marongiu è andato sviluppando si potrebbe dire che si accentra sul binomio concettuale ordine\disordine e sulle conseguenti implicazioni.

E’ in riferimento all’ordine e alla nozione di equilibrio che si collocano, infatti, i video Speculum e Animeted paintings, opere cinetico-plastiche realizzate attorno al 1990, in cui si intersecano linee, forme e volumi realizzate al computer, con un procedimento tecnico a visione stereometrica che consente di vedere un’immagine tridimensionale per effetto di cromatismi dissimili.

Se il carattere palese delle immagini, come ne ”L'Ordine Implicito" risulta ordinato, tuttavia, vi s’intravede anche una fluttuazione evolutiva che trasmuta la dimensione da statica in dinamica, per la ben nota azione cinetica delle forme e dei colori, mutuata dalla pittura. Le speculometrie, dunque, derivanti da ideazioni astratte di Marongiu e ispirate alla ricerca del Movimento dell’Arte Concreta, come "Movimento relativo nei confronti di uno stato di quiete apparente", sono il risultato dell’intersecarsi di linee cromatiche verticali poste sull’asse visivo orizzontale in un calibrato e illusorio effetto di movimento.

Il video, come qualsiasi altro mezzo di comunicazione, ha un suo linguaggio che, infatti, già dagli anni '80, con l'invenzione di alcune apparecchiature, è cambiato trasformando le immagini da elettroniche in digitale; ma la novità è arrivata negli anni' 90 quando si applicò, effettivamente, il digitale ai video d’arte. Ed è stato così che con un singolo computer si potesse gestire il flusso delle immagini create, operando altresì il montaggio, l’aggiunta degli effetti e il mixaggio dei suoni. Il video digitale, insomma, ha permesso di concentrare dinamismo, velocità e frammentazione sia a livello di visione che di enunciazione rafforzando l’effetto di trimensionalità.
In tale contesto si colloca l’iter di Giosuè Marongiu che, partito dall'arte esatta, con il ricorso alla teoria delle simmetrie dall’uno ai molti, è approdato negli anni Novanta, appunto, alla produzione di video, come "The Speculum's Factory", con strutture geometriche complesse in un equilibrio ordinato e speculare.
Da questa staticità egli passò, poi, alle “Wunderkamere” in cui moltiplicò con specchi sul fondo, in alto e in basso, la specularità rendendo non più fisse, ma instabili gli oggetti e le strutture scelte.
Ciò che interessava a Marongiu, comunque, era realizzare dei sistemi di segni di tipo “concreto” non soltanto coloratissimi e armoniosi, ma anche a visione ottica stereometrica digitali. Ed è così che è arrivato agli attuali video tridimensionali.

Giosuè Marongiu, nato nel 1954 a Cagliari dove vive e lavora, ha compiuto studi irregolari. S’interessò presto all’arte, comunque, iniziando a dipingere da autodidatta. Gli piacque anche viaggiare nelle principali città italiane come Roma, Venezia, Torino, poi Mentone, Parigi e Melbourne, in Florida, nelle quali espose i suoi quadri di tipo figurativo.

Nel ’77 decise di tornare stabilmente a Cagliari dove continuò a lavorare e a esporre in varie gallerie. Nel ’90, poi, i suoi interessi si rivolsero alle immagini speculari e infatti compose le “Wunderkamere”. Nello stesso anno fondò “Sogni”, una rivista di cultura e informazione, di cui fu anche editore fino al ’95.

Nel ’97 partecipò, nel Padiglione Italia, alla 7. a Biennale d’arte del Cairo e avvenne per lui anche la svolta di non più dipingere, ma di dare avvio a un percorso di lavoro con i video creati al computer realizzando, infatti, il primo “Speculum Files Movie” “Metamorphosis”. Risalgono al 2003, inoltre, gli “Animated paintings” con immagini geometriche in movimento.

Nel 2007 entrò a far parte del Gruppo LIG Metarazionalità, fondata da Beppe Bonetti con Rudolph Reiner e Milan Zoricic e vi rimase fino a marzo 2009, anno in cui nacquero le sue opere cinetico-plastiche che presentò alla mostra Dentro\fuori Biennale, World Pavillon, nell’ Evento parallelo alla 53.a Biennale di Venezia.

Nel corso degli anni, inoltre, varie sono state le mostre personali e collettive di Marongiu come, ad esempio, alla: Galleria Consorti di Roma; Florence Gallery in Florida; Galleria Bacheca di Cagliari; Palais d’Europe di Mentone; a Spoleto Arte Festival; Arx di Torino; Galleria Verifica 8+1 di Mestre; a Struktura di Milano; Galleria Anagma di Valencia; con Studio Valmore all’Expò di Shangai; a Artour- Ho, Fiera internazionale di Ywu, Cina; Galleria Colossi Arte, Brescia; Arrows eros, London Biennale e , tra altri, al Museo Minimo di Napoli.

Sue opere sono state, infine, acquisite dal: Museo Mondrianaan-huis di Amerfort, Olanda; Museo Gazoldo degli Ippoliti, Mantova; Museo Casabianca di Malo, Vicenza; Civica raccolta del disegno, Salò e, tra altri, dal Museo Arte e spiritualità di Brescia.

Il binomio arte e tecnologia, di fatto, ha attratto Giosuè Marongiu che, con un interesse crescente e innovativo per il suo immaginario, ora trasforma dinamicamente superfici, volumi e colori.

La video arte che ha più di quarant’anni di vita, ma è ancora considerata un'arte giovane, ha prodotto in tutto il mondo variegate forme artistiche su video, tv e computer sempre più presenti alle Biennali e alle Fiere internazionali d’arte.

Sorte analoga, del resto, prima di essere riconosciuta come forma d’arte, l’ebbe anche la fotografia. La vidimazione di originalità artistica avvenne, infatti, nel 1936, prima con "L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica", di Benjamin e poi con “Gli strumenti del comunicare”, nel 1964, di McLuhan che intuì anche l’inarrestabile processo di smaterializzazione dei “media” e l’ effetto di villaggio globale.
L’uso di nuove tecniche e la contaminazione di vari linguaggi al passo coi tempi, insomma, hanno modificato sostanzialmente il panorama artistico tanto da far apparire ormai storico il video del capostipite Nam June Paik, presentato all’Exposition of Music-Electronic Television di New York negli anni Sessanta.
Fu nel 1968, comunque, che avvenne il riconoscimento ufficiale per i video con la mostra “The machine as seen at the end of the mechanical age”, curata da Pontus Hulten al MOMA di New York e che, di fatto, segnò il passaggio dall'epoca della macchina a quella della tecnologia.

La comunicazione globale divenne veloce e culturalmente omologante con i video che, tra integrazione e disgregazione, videro l’affermarsi del movimento artistico Fluxus, a cui Pei apparteneva, e a cui in tutto il mondo ci si ispirava. Lo stesso Gillo Dorfles, alla fine degli Anni Sessanta, dichiarò i video d’arte come "nuove dimensioni della visualità". Dai Fluxus all’arte del videotape - con artisti quali Gary Hill, Bill Viola, Marina Abramovic e gli italiani di Studio Azzurro - e, infine, ai video d’arte, realizzati col computer, il passo è stato conseguente. Si è arrivati, infatti, alla digital art e alla computer art con l'ausilio di un software di grafica vettoriale o con la scansione di una fotografia o di un disegno che si proiettano come video, numerati e firmati o anche come disegni e dipinti di un singolo frame, stampati su carta, su vinile o su tela.
Corre l’obbligo aggiungere, infine, che alle attuali forme tridimensionali di strutture geometriche complesse, si è arrivati per merito dello stereoscopio, inventato nel 1950 dal matematico, programmatore e amante dell’arte Ben Laposky, il quale, partendo dal Costruttivismo e dal Razionalismo del Bauhaus, arricchì il computer della possibilità di produrre immagini con l’illusione di spazio visivo simile alla realtà, oggi ampiamente usato sia nell’arte sia nel cinema in 3D, aprendo nuove vie sperimentali all'arte contemporanea.
Inseritosi in questa scia di ricerca, Marongiu, negli ultimi anni, ha realizzato video con immagini digitali semplici astratto-concreto che si trasformano, con velocità esponenziale, in strutture complesse di grafica tridimensionale. Ed è così che egli, curando gli aspetti estetici e l’equilibrio della composizione, genera al loro interno un movimento volumetrico.
Le sue forme stereoscopiche, che sfruttano la conseguenza della visione binoculare, non appaiono più come semplice gioco, ma come un’attenta proposta di ricerca percettiva che suscita in chi guarda una visione d’intensa affinità emozionale favorita, altresì, dall’ausilio di occhialini a lenti polarizzate di cui Marongiu venne in possesso già nel ’90 per merito del “CRS4”, Centro di ricerche di Cagliari, che gliene fornì una copia e coi quali approfondì le strutture video.

In definitiva, si è superata la limitatezza del campo monoculare col conseguente ampliamento della concezione dello spazio e, perfino, con la manipolazione percettiva della realtà, mediante l’estensione fluida delle proprie intuizioni.
L’ausilio digitale, ormai, è un mezzo usato a livello mondiale tanto che si colloca, a pieno titolo, nel cambiamento globale e radicale della comunicazione consentendo velocità di conoscenza e di esperienza anche nella digital art.
Si è, in sintesi, prodotta una cultura nuova che sta modificando il rapporto non soltanto con se stessi, ma anche col mondo, con tutte le implicazioni positive e negative nell’ incessante tensione tra umanità e aperture della tecnica e della scienza.
Mutatis mutandi, permangono, infatti, nell’arte le contraddizione in termini tra la creatività artistica libera e la costruzione programmata delle forme, tra la regola e l’arbitrio, tra il progetto tecnologico e l’inventività manuale, salvata, in extremis, dalla speranza progettuale di invenzioni più libere.

La video art, nei suoi molteplici aspetti, in effetti, esprime la contemporaneità sociale e culturale accettando, ma anche opponendosi al sistema globale che ammanta tutto col velo dell’ordine. Ed ecco che alcuni artisti reagiscono, più o meno consapevolmente coi mezzi che scelgono, rivelandone tutta la precarietà e il disordine endemico. Ed è così che essi non mirano soltanto a un’affermazione di estetica, ma, chiamando in concausa anche il fruitore, tendono anche a una comunicazione etica.
Coi suoi lavori Giosuè Marongiu , che ha fatto del campo artistico il suo interesse maggiore e il suo laboratorio di ricerca, dimostra la stessa tensione. Scegliendo la riproducibilità totale dell'opera digitale in cui le copie sono identiche all'originale, egli compie un viaggio nell'immagine in movimento che sembra chiudere il cerchio e tornare al punto di partenza, quando, con la costruzione pura delle forme, sembrava escludere il referente della realtà umana. Coi video “ Wind” o “Utopia”, del 2008, ecco che ha documentato fenomeni della natura, come il vento, l’acqua e il fuoco i quali, in modo evocativo e poetico, evidenziano, altresì, il senso di sproporzione tra l’uomo e l’ineluttabilità degli elementi della natura.
Di diverso carattere, ma sempre legato all’esistenza, sono i suoi video di tipo sociale come “ Gli uomini di vetro” in cui, con riprese sequenziali, scandaglia l’emblematica giornata di un extracomunitario, con tutte le implicazioni di solitudine, di decorosa miseria e di profondi risvolti collettivi di questo terzo millennio. Giosuè Marongiu, in sintesi, non volendo rimanere vittima privilegiata di stupefacenti magie di un futuro iper tecnologico, ha rielaborato nella sua poetica l’aspetto umano e naturale della vita per dominare il sogno della realtà virtuale e, forse, anche il “sonno della ragione”.
Alla fine, nessuno dimentica che l’esistenza s’incentra sull’epigramma di Eraclito: ”Il cammino è il camminare”.

Anna Maria Di Paolo
Brescia 25 giugno 2010
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